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HOW TO SKATE ON RUINS

Danilo, 17 anni.

«Cinque anni fa c’era uno skatepark, noi lo chiamiamo “lo skatepark vecchio”. Era in via Premuda ed è stato abbattuto dalla polizia perché era fuori regola. Tutte le strutture erano fatte in legno, quindi dopo un po’ di tempo senza manutenzione uscivano chiodi, c’erano buchi. Non era bellissimo insomma. Però ci piaceva perché ci sentivamo a casa. Infatti ci torniamo ancora, quasi tutti i giorni. Lo abbiamo riqualificato di nostro pugno, costruendo un muretto e altre strutture, giusto per andare là ad allenarci».


Lorenzo, 24 anni.

«Sì, è vero, lo skatepark vecchio è la nostra casa. Però ora stanno costruendo il nuovo skatepark vicino alle Reggiane. Il sabato e la domenica andiamo lì, nonostante sia ancora in cantiere. Quando sarà finito, secondo me, sarà fantastico. Reggio Emilia potrebbe anche diventare un punto di riferimento per lo skate. I vari gruppi di skaters che in questi anni si erano divisi, ora si stanno ricompattando intorno a questo nuovo spazio. E in fondo la potenza dello skate è questa: ritrovarsi intorno a un gesto, trovare una comunità, una famiglia. L’età varia tantissimo, cioè puoi vedere un bambino di 12 anni che si fa spiegare delle cose da un adulto di 40. In generale, la community dello skate è molto aperta e amichevole.».


D: «Non c’è solo lo skatepark ovviamente. Andarci è un po’ come andare al parco giochi, ma ci sono alcuni skater a cui piace di più stare in strada e “skateare” un po’ quello che gli capita. Anche perché veniamo tutti dallo skate in strada, quindi viene più spontaneo. Devo dire che i poliziotti se ne sbattono abbastanza, difficilmente ci impediscono di fare skate in piazza. È più probabile che qualcuno si affacci e si lamenti del rumore che facciamo».


L: «Il rapporto con il rischio è sempre presente, ma non abbiamo paura. Cadiamo, ovvio, a volte anche male. Ma lo skate ha bisogno del rischio, la sacralità del gesto ripetuto ne ha bisogno affinché diventi qualcosa di bello. Di perfetto. In qualche modo, devo ammettere che penso spesso a un paradosso che mi dice un mio amico quando siamo allo skatepark: spero di cadere il più possibile così cadrò sempre meno. 

Alcuni skaters si aiutano con l’ombra per coordinare i loro movimenti. La vedono come uno specchio. Io personalmente per mantenere l’equilibrio tengo lo sguardo fisso sulla tavola. Ripeto all’infinito lo stesso movimento ed è come se questo diventasse memoria muscolare, senza bisogno di passare dal cervello».


D: «Lo skate è parte integrante della nostra vita. Noi quando abbiamo momenti liberi, andiamo a fare skate. E se piove rimaniamo a casa a guardare video sullo skate. Dall’esterno sembriamo degli invasati. Ma lo skate è una specie linguaggio comune. Riunisce, non è vero che non serve a nulla. Alcuni lo considerano addirittura un atto vandalico, invece noi lo intendiamo come uno sport, come un momento di aggregazione. Facciamo skate anche per darci consigli di vita, darci supporto a vicenda, senza riguardo per l’età o la provenienza. Anche per questo non ho mai vissuto un litigio all’interno del gruppo. Ci vogliamo tutti bene e siamo tutti amici.

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